UNA PACE POSSIBILE

La Santa Pasqua è un tempo di riflessione.
Anche un "diversamente credente" può utilizzare i i valori e principi
contenuti nel messaggio pasquale per fare un'analisi della sua vita
e del suo essere componente della società.
Per questo vi propongo alcuni spunti di riflessione.


Etimologia della parola PACE.

Si ricollega alla radice sanscrita pak- o pag- = fissare, patuire, legare, unire, saldare 
(da cui derivano anche altre parole di uso comune come patto o pagare)
che ritroviamo nel latino pax = pace.
Per cui, la pace è quella preziosa condizione  di armonia, quel sentimento di concordia,
di unione che dovrebbe legare individui e popoli, come appartenenti alla stessa famiglia umana.
Tale auspicabilissima quanto utopica condizione presuppone però che ogni individuo,
prima ancora di essere in pace con gli altri, sia in pace con sé stesso...

IMMANUEL KANT (Königsberg22 aprile 1724 – Königsberg12 febbraio 1804) filosofo tedesco. 
Fu il più importante esponente dell'illuminismo tedesco, anticipatore degli elementi fondanti
della filosofia idealista e della modernità. Autore di una vera e propria rivoluzione filosofica.

Con lui la filosofia perde l'aspetto dogmatico metafisico tradizionale ed assume i caratteri di
una ricerca critica sulle condizioni del conoscere.


KANT PER LA PACE PERPETUA

Nel Progetto per una pace perpetua (1795), Kant formulò per la prima volta nella storia l’idea
di una confederazione di Stati, a regime repubblicano, per porre termine all’anarchia dei rapporti
tra popoli, la quale assicura tutt’al più una situazione di sospensione della guerra – una tregua –,
ma non le condizioni per una pace definitiva: partendo dai principi giusnaturalistici, e applicandoli
non solo alle relazioni tra gli individui e i governi, ma anche alle relazioni fra Stati, egli giunge a una
formulazione chiara di alcuni dei principi che, un secolo e mezzo più tardi, avrebbero ispirato il
progetto europeista.

Kant partiva dall’ipotesi di una situazione primordiale dell’umanità di guerra permanente
di tutti contro tutti: una condizione da cui si poteva uscire solo dando vita alla costruzione statale,
un’istituzione cioè che controllasse la naturalità, rinunciando a una porzione della propria individuale
libertà per garantirsi in cambio la sicurezza (per Hobbes, attraverso lo Stato assolutistico, per Kant
attraverso quello liberale). Il rapporto tra gli Stati continuava però a configurarsi ancora come quello
degli individui nello stato di natura, ossia in una condizione permanente di guerra potenziale, se non
attuale. Non esistevano le premesse razionali di una pace perpetua, ossia dell’eliminazione delle
cause potenziali di conflitto, appunto perché tra Stati non vi era nessun contratto reciproco vincolante.

Kant immaginò dunque una soluzione per l’uscita dallo stato di natura anche degli Stati e non solo
degli individui.

Formulò così l’ipotesi di una confederazione permanente (foedus perpetuum).
Non si spinse però fino a sostenere che il contratto tra Stati fosse altrettanto vincolante di quello tra
gli individui e il singolo Stato: non si tratta di un pactum subiectionis in base al quale i contraenti si
assoggettano a un potere comune di Stati, uno “Stato di Stati”, bensì di un pactum societatis che non
dà origine a un potere comune al di sopra dei singoli contraenti. Tuttavia Kant pensò di poter limitare
l’assoluta sovranità degli Stati attraverso l’interesse degli individui.

Una tale confederazione può funzionare, infatti, solo con Stati con Costituzione repubblicana (che egli
intendeva in modo diverso dall’attuale, come contrario non di regime monarchico bensì di regime
dispotico, ma comunque fondata necessariamente sulla separazione dei poteri legislativo ed esecutivo) :
«Se (come non può essere altrimenti in questa costituzione) è richiesto l’assenso dei cittadini, per decidere
“se debba essere guerra, o no”, allora niente è più naturale che essi, poiché dovrebbero decidere di
infliggere a se stessi tutte le tribolazioni della guerra (come combattere essi stessi, pagare le spese
della guerra col proprio patrimonio, por rimedio miseramente alla desolazione che lascia dietro di sé,
e infine, per colmare la misura del male, assumersi il peso di un debito mai liquidabile (a causa di
sempre nuove guerre successive), il quale rende amara la pace stessa, rifletteranno molto per cominciare
un così cattivo gioco.

Di contro, in una costituzione in cui il suddito non è cittadino e dunque non è repubblicana, la guerra è
la cosa che al mondo richiede meno riflessione, perché il capo non è socio dello stato, ma suo proprietario,
e con la guerra non si priva minimamente dei suoi banchetti, delle sue cacce, dei suoi castelli di svago,
delle sue feste di corte e simili, e quindi può deciderla per cause insignificanti, come una specie di
viaggio di piacere, la cui giustificazione può lasciare con indifferenza, per decoro, al corpo diplomatico
a ciò sempre pronto».

Kant dunque non concepiva ancora un’ipotesi di rinuncia di porzioni di sovranità nazionale a favore di
un’istituzione coercitiva sovranazionale, poiché questo contraddiceva nel suo pensiero la natura stessa
degli Stati, nati da quella delega originaria da parte dei singoli (un “evento” che non va inteso in senso
storico, bensì razionale).

E il progetto di pace avrebbe anche dovuto attendere che tutti gli Stati adottassero una Costituzione
repubblicana senza esservi costretti dagli altri: non era un progetto pensato per un futuro prossimo,
dunque, ma che confidava sulla forza attrattiva della Costituzione repubblicana, ritenuta «l’unica che
proviene dall’idea del contratto originario, sulla quale deve essere fondata ogni legislazione di
un popolo conforme al diritto».

Il suo non aveva però neppure il carattere di un progetto utopico, perché poneva i rapporti internazionali
per la prima volta sotto la sfera razionale del diritto, sottraendoli all’arbitrio dei sovrani e alla concezione
proprietaria dello Stato, allora ancora preminente.




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